14 TAVOLE DELLA VIA CRUCIS

Parrocchia Santi Nabore e Felice                       Via T. Gulli, 62 Milano - Zona San Siro


L'esecuzione di una nuova Via Crucis .. se ne era parlato da tempo ... durante la settimana santa era stato esposto un quadro, un modello più che un bozzetto dello stesso pittore Krumm. (..)

(..) Al desiderio di dotare questa chiesa di una nuova Via Crucis che sia di un valido artista (l'autore della tela suddetta è Edoardo Krumm, catalogato, già con altissime valutazioni , nel volume: "Pittori e pittura contemporanea" di G. Falossi, Ed.II Quadrato, Milano, 1975), che sia ad una via di mezzo tra il tradizionale e il modernismo, che abbia splendidi colori e dimensioni tali da adornare bene gli spazi di muro bianco sotto le 7 arcate delle navate laterali.

 

L'autore ha stile drammatico e tecnicamente le sue opere si caratterizzano per il colore brillante a zone e macchie che danno rilievo alle figure. (..)

 

Fra' Cornelio, 17 settembre 1986: giorno delle stimmate di S. Francesco


PRIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1986)

 

Titolo: GESÙ SOTTOPOSTO A GIUDIZIO

 

Composizione. Il quadro mostra Gesù al primo incontro con Pilato, governatore romano, al mattino del Venerdì Santo. Gesù, dopo lo arresto nel Getsemani, è stato insultato e percosso durante tutta la notte: gli Apostoli lo hanno abbandonato e Pietro lo ha rinnegato (Le 22,47-65). All'alba Gesù è già stato condotto davanti al sinedrio ed ha sopportato l'interrogatorio dei capi del popolo, dei sommi sacerdoti e dei dottori della legge (Le 22,67-71). Successivamente «tutta quell'assemblea (il sinedrio) si alzò e lo condussero davanti a Pilato» (Le 23,1) che interroga Gesù e rimane perplesso e non trova nessun motivo di condanna. Il quadro raffigura proprio questo momento. Gesù non è stato ancora flagellato e coronato di spine ma è stanchissimo per l'agonia dell'orto, la carcerazione, le offese e percosse ricevute nella notte; soprattutto è amareggiato per l'abbandono e il tradimento degli Apostoli, il rifiuto del suo popolo espresso nel Sinedrìo, le accuse false che lo affliggono, il giudizio del potere romano, etc. In altre Via Crucis invece Gesù è presentato al momento della condanna come "Ecce homo", già flagellato e coronato di spine. L'elemento "sindonico". Dalla Sindone è ricavata la struttura corporea, longilinea e atletica di Gesù e l'aspetto del suo volto (non ancora coronato di spine). Evidentemente la ricostruzione del volto di Gesù dipende dalla interpretazione dell' Artista. Un'altra ricostruzione del volto prima della sofferenza, fatta da Giulio Ricci, famosissimo studioso della Sindone, mostra un aspetto molto più sereno e dolcissimo, ma in questo quadra il volto di Gesù doveva mostrare specialmente l'immensa tristezza e la sofferenza dell'amarezza interiore del suo spirito. Il messaggio spirituale. L'Autore ha voluto mostrare specialmente la sofferenza interiore di Gesù (nel volto), l'attesa rassegnata alla volontà di Dio (nella staticità della positura), la persecuzione del potere religioso e civile (Gesù si trova tra i membri del Sinedrio ei rappresentanti del potere romano), la lontananza del popolo ebraico e dei discepoli (la terrazza col distacco dalla folla e la assenza dei discepoli), etc. Particolarità. Si noti la perplessità dell’ atteggiamento di Pilato, l'indifferenza del soldato romano, la malizia degli accusatori, un sommo sacerdote che è rivestito del "tallit" cioè del manto della preghiera e un sinedrita (capo di popolo o dottore della legge) che si nasconde subdolamente dietro il rappresentante dell'autorità religiosa.


SECONDA STAZIONE (di E. Krumm, 1986)

 

Titolo: GESÙ RICEVE LA CROCE

 

Composizione. Il quadro presenta Gesù nei momento in cui viene predisposta la trave trasversale della Croce cioè il "patibolo" (N.E. La trave diritta, detta "stipite" di solito non veniva portata dal condannato ma si trovava preparata nel luogo della crocefissione). Si raffigura Gesù nel. cortile del pretorio detto "litostato" (lastricato di pietre), dove avvenne l'ultimo giudizio di Pilato e la condanna a morte (Gv 19) subito dopo la flagellazione. «Era verso l'ora sesta» (Gv 19,14) cioè nel pieno del mattino di venerdì santo. L'Autore sceglie quindi questo particolare momento, tra la flagellazione e la coronazione di spine, allo scopo di presentare (forse per la prima volta in una Via Crucis) l'aspetto di Gesù flagellato. Pilato, infatti, dopo aver ascoltato le accuse del sinedrio (cfr. 1 Stazione) aveva mandato Gesù da Erode senza trovar conferma alle accuse (Le 23,15) e voleva lasciar libero Gesù dopo averlo fatto frustare perché (Le 23,26) non trovava in Gesù alcuna colpa che meritasse la morte (Le 23,22). Dato che in occasione della festa il governatore era solito rilasciare al popolo un detenuto a loro scelta (Mt 27,15; Mc 15,6; Le 23,17) tentò anche di sottoporre al popolo la scelta di liberare Gesù o Barabba, ma il popolo chiese la crocefissione di Gesù (Mt 27;16-23; Mc 15,7-14; Lc 23,18-23; Gv 19,15). Mentre non è raffigurato nel quadro la tribuna del pretorio dove Pilato siede a giudizio, è presentato a sinistra un popolano che regge il patibolo e simboleggia la richiesta della crocifissione e a destra sta un soldato romano che regge il manto scarlatto col quale Gesù verrà schernito come falso re durante la coronazione di spine dopo la flagellazione (Mt 27, 28-30; Mc 15,17-20). Sul fondo si scorge S. Pietro, pentito per aver rinnegato Gesù nella notte. Elemento sindonico. L'Autore sceglie questo particolare momento, tra la flagellazione e la coronazione di spine, allo scopo di presentare i segni della flagellazione rilevabili dalla Sindone. Nel quadro Cristo è dipinto ancora legato alla colonna con una sola mano e si accascia riverso in modo da mostrare la parte anteriore del corpo e il lato sinistro. Il flagello è per terra e mostra, all'estremità delle cinghie di cuoio, delle pietruzze (o ossicini, o palline metalliche) come viene affermato da vari studiosi. Infatti quando gli incaricati della flagellazione «colpivano ripetutamente e con forza il dorso della vittima, le palline di ferro provocavano delle profonde contusioni e le cinghie di cuoio, con i frammenti di osso di pecora, determinavano dei tagli sulla cute e nel sottocutaneo; quindi con il proseguire delle frustate le lacerazioni potevano raggiungere i muscoli scheletrici e produrre la formazione di frammenti mobili di tessuto sanguinante» (W. D. Edwards et al., J.A.M.A., 255, 1455- 1463,1986). Anche se la severità della flagellazione non è riportata in nessuno dei quattro Vangeli, essa è implicita in una epistola (1 Pt 2,24) che probabilmente ne è stato testimone. Le piaghe della flagellazione che appaiono nella Sindone sono molto numerose e distribuite su tutto il corpo. Sono ben documentati 121 colpi, la direzione delle battiture sulla posizione curva durante la flagellazione, la posizione eretta dopo la flagellazione per la doppia partizione di certi rivoli di sangue, molti particolari della struttura del flagello, ed altre cose ancora che si possono ricavare da un attento studio dell'immagine sindonica (Vedi: Mons. Giulio Ricci «L'Uomo della Sindone è Gesù». Ed. Cammino - Milano, 1985). Il nostro pittore si è sforzato di ripresentare gran parte di questi particolari della flagellazione nella 2a Stazione della Via Crucis. Il messaggio spirituale. L' Autore mette in rilievo la sofferenza fisica della flagellazione interpretandola secondo il Salmo 128 che scrive in tono profetico: «Hanno reso il mio corpo come un campo arato, lunghi solchi vi hanno segnato» ed anche secondo la profezia di Isaia: «Noi l'abbiamo visto l'uomo dei dolori» (Gesù è stremato dalla sofferenza). Il "Crucifige » dei giudei è simboleggiato dal patibolo e dall'atteggiamento di chi lo porta di fronte a Gesù. L'indifferenza e lo scherno dei romani e il pentimento di Pietro completano la scena come rimprovero alle nostre indifferenze e alle nostre colpe. Particolarità. Si possono notare: la ricostruzione delle strutture del flagello nel modo più fedele possibile ai dati storico-scientifici, la disposizione delle piaghe come prodotte da un flagello a raggiera con duplice (o triplice) terminale contundente, la sorgente incavata a rosetta dei rivoli di sangue, etc. La presenza di Pietro come testimone, nel suo dolore e pentimento, sembra sottolineata pur essendo la sua figura lontana dal primo piano della scena. 


TERZA STAZIONE (di E. Krumrn, 1986)

 

Titolo: GESÙ CADE PER LA PRIMA VOLTA

 

Composizione. E' iniziato il cammino verso il Calvario e Gesù porta il patibolo cioè la trave trasversale della croce. Il patibolo è posto di traverso sulle spalle ed è legato alle braccia. Sembra probabile che, secondo l'usanza, del tempo, una estremità della corda scendesse sino alle caviglie e fosse legata alla estremità della gamba sinistra. Questo particolare non appare con evidenza nel quadro (e nemmeno nella Sindone) ma poteva rendere così difficili i movimenti che ben presto, appena iniziato il cammino della Via della Croce, Gesù, che è già sfinito dai patimenti della notte precedente e dolorante per la recente flagellazione, inciampa e cade sulle ginocchia. La scena è collocata all'interno della città di Gerusalemme ad uno slargo o ad un incrocio di strade, ma la folla non è rappresentata attorno a Gesù, come se si fosse già avviata alle porte della città o verso il Calvario, precedendo il cammino dei condannati. Solo un popolano, un carnefice e un soldato si fermano vicini a Gesù. Sullo sfondo sono i sinedriti e un Apostolo (S. Bartolomeo) inginocchiato. L'Elemento Sindonico. La tradizione della Via Crucis presenta almeno tre cadute di Gesù nella Via Crucis. Anche dalla Sindone sembrano documentate più cadute che avrebbero procurato contusioni e tumefazioni in varie parti del corpo. In questo quadro è posto in evidenza l'impatto col terreno del ginocchio sinistro che dalla Sindone risulta molto gonfio come se avesse una- ferita lacero contusa. Nella caduta il peso del patibolo si scarica con violenza sulla nuca e sulle spalle; infatti sul lato dorsale del lenzuolo sindonico si vedono i rivoli di sangue prodotti sulla nuca dalla corona di spine e le piaghe lasciate sulle spalle dalla trave del patibolo, ma questi ultimi elementi sindonici appariranno più evidenti nei quadri successivi (vedi, ad es., la V Stazione) perché in questa Stazione si vuoI attirare l'attenzione sulla ferita al ginocchio sinistro. Il Messaggio Spirituale. In Cristo che porta la croce e cade sotto il suo peso, l'Autore vuol mettere in evidenza l'umiliazione dell'Uomo dei dolori. Inginocchiato al cospetto di tutti, nell'abbandono, privo di gloria, sanguinante, sofferente ... ecco che il patibolo gli piega il collo e configge la corona di spine dietro la testa. Allora Gesù volge gli occhi al Cielo quasi a cercare il conforto nella volontà del Padre. Lo sguardo è supplice e dolorante, l'offerta del Sofferente diventa implorazione e riparazione ...Nel cielo già si addensano alcune nubi. Particolarità. La figura di Cristo occupa il centro del quadro ma la sua posizione, il suo aspetto, o anche il peso della trave opprimente, spogliano il Figlio di Dio da ogni apparenza di gloria. Egli è quasi costretto e isolato dal resto della scena dai tre personaggi (il popolano ,il carnefice e il soldato) e sembra persino separato dal Cielo da quel legno posto di traverso e dalla figura stessa del carnefice, che sembra opprimente come il peso della croce. Presso i palazzi della città, sullo sfondo, i sinedriti appaiono lontani dalla scena: hanno abbandonato il Cristo alla sua sorte. Ancora in lontananza, dietro le spalle del popolano, si intravede l'Apostolo S. Bartolomeo che è testimone della caduta di Gesù. L'Elemento "Apostolico". Nella stazione precedente, era raffigurato Pietro, in atteggiamento di pentimento, vicino a Gesù flagellato e condannato alla croce; ma Simon Pietro è così conosciuto che non ci siamo soffermati a parlare di lui. Iniziando da questa Terza Stazione, invece, vogliamo mettere in evidenza il significato simbolico di queste presenze degli Apostoli lungo la Via della Croce. Sia scritto che essi fuggirono quando Gesù fu catturato, (e sono infatti assenti nella l" Stazione), ma non è escluso che, timidi e impauriti, abbiano fatto come San Pietro cioè abbiano seguito più o meno da lontano la passione e la morte di Gesù per essere poi testimoni dei fatti raccontati nel Vangelo. In questa 3° Stazione è raffigurato S. Bartolomeo (figlio di Talmai) di Cana di Galilea, detto anche Natanaele (= Diodato). E' l'Apostolo che nel Vangelo è lodato per la sua semplicità e schiettezza. Di carattere aperto, amabile e persino ingenuo, era anche molto debole e timido: perciò nel quadro è raffigurato seminascosto. Ed è presso un albero a ricordare la sua prima chiamata all'apostolato. Dopo la resurrezione di Gesù fece molti viaggi in Asia Minore, in Mesopotamia e persino in India dove portò i primi germi del cristianesimo. E' tradizione che subì il martirio per decoriazione (cioè gli fu strappata la pelle) come ricorda la famosa statua nel Duomo di Milano, presso l'ingresso laterale. Perché in questo quadro San Bartolomeo è raffigurato in ginocchio? Forse perché la leggenda della vita di questo Santo ci dice che era famoso per le sue prolungate preghiere in ginocchio (« tanto che la pelle dei suoi ginocchi sembrava indurita come le ginocchia dei cammelli » ); o meglio perché la caduta di Gesù e la ferita al ginocchio si imprimono nella mente dell'Apostolo e si esprimono poi nella sua vita di preghiera. 


QUARTA STAZIONE (di E. Krumm, 1986)

 

Titolo: GESÙ INCONTRA LA MADRE

 

Composizione. La scena è localizzata presso una delle porte della città di Gerusalemme: non certo alla porta principale della città, ma probabilmente ad una porta più piccola nella zona Nord-Ovest, dalla quale uscendo ci si avviava verso il Calvario. Gesù appare appena uscito dalla porta ancora curvo sotto il peso del patibolo. La trave del patibolo è posta di traverso, legata alle spalle di Gesù, come se Egli avesse dovuto attraversare la porta mettendosi di sbieco per non urtare con le estremità della trave contro i muri laterali del piccolo passaggio. Appena uscito Egli incontra sua Madre che cade in ginocchio vicino a Lui, colpita dal dolore e impressionata dalla sofferenza che grava sul suo Figlio Divino. Ella alza le mani e lo sguardo verso il Volto del Figlio ormai molto insanguinato. L'immagine di Gesù e Maria occupano il centro del quadro e sono poste in maggior evidenza da una tonalità di colori più luminosi. Le altre persone sono di spalle o in penombra: a sinistra si scorge appena appena un soldato, a destra ci sono due parenti di Gesù che hanno accompagnato Maria Santissima. Uno di essi è l'Apostolo Giacomo, cugino di Gesù. Il ragazzino di spalle ricorda tutti i ragazzi che hanno accolto Gesù una settimana prima all'ingresso trionfale in Gerusalemme. L'elemento "sindonico". In questa stazione si è scelto di ricordare i segni della corona di spine. In realtà si sarebbe potuto fare anche in altre stazioni ma l'Autore ha considerato che Maria Santissima, guardando il Volto amato di suo Figlio, sia stata particolarmente impressionata nel vedere i rivali sanguigni provenienti dalla punta delle spine. La documentazione sindonica della corona di spine presenta questo particolare: gran parte della calotta cranica è tempestata di tracce sanguigne che rivelano la presenza come di un casco di spine o di un grosso fascio di spine e non certo di una tenue coroncina a spirale come l'hanno immaginata certi artisti del passato. Così afferma Mons. Giulio Ricci nel libro "L'Uomo della Sindone è Gesù" a pago 199 (Ed. Cammino, Milano, 1985). Il Vangelo con la frase "I soldati, intrecciata una corona di spine, IV Pagina stampata a responsabilità della parrocchia gliela posero sopra il capo" (Gv 19, 2) non ci dice le dimensioni della corona di spine, ma è in accordo con le impronte così estese rivelate dalla S. Sindone. Secondo lo studio del Dott. G. Toscano "La S. Sindone e la scienza medica" pago 22 (Ed. Mimep - Docete, Pessano - Milano, 1978) "I soldati, dovettero intrecciare un copricapo di spine, a forma di fascina più che di casco, e lo conficcarono a viva forza sulla testa del Signore: la sua grandezza aumentava lo scherno e il dileggio. Esso era tenuto a posto da tre, quattro o più giri di vimini, all'altezza della fronte e della nuca: una specie di cerchio di giunchi intrecciati. Questa seconda corona è conservata a Parigi nella Santa Cappella, appositamente fatta costruire da S. Luigi IX Re di Francia. La corona di spine, perché fatta a calotta, dovette provocare ferite su tutta la superficie della testa e sulla fronte: e ciò è documentato dalla S. Sindone in modo impressionante: tutta la calotta cranica, infatti, dalla fronte all'occipite è tempestata di rivali di sangue, e l'imbrunimento di tutta la zona, fa pensare al sudore misto a sangue che invadeva la massa di capelli. Queste impronte di sangue, risultano formate da sangue uscito da ferite mentre era ancor vivo il Signore perché hanno le caratteristiche delle macchie' da sangue coagulato". Diverso intatti è il discorso per quanto riguarda le impronte dei rivoli di sangue sul volto di Gesù. Sul lenzuolo della S. Sindone ci sono le impronte del sangue coagulato uscite dal corpo di Gesù vivo (come le impronte del foro dei chiodi della crocefissione) che sono diverse, come diremo a suo tempo, dalle impronte del sangue uscito dal corpo di Gesù dopo morto (es. ferita del costato). Per quanto riguarda i rivoli di sangue della corona di spine invece, si trovano sulla S. Sindone solo le impronte del sangue "vivo" dovute alle spine prima della morte di Gesù in croce. Il resto del sangue sul volto fu asciugato dalla Veronica (come vedremo alla VI Stazione). In questa Stazione, cioè , nella IV dove Gesù incontra la Madre, "il volto di Gesù doveva essere straordinariamente segnato in tutte le direzioni da numerosi rigagnoli di sangue" (G. Ricci). Perciò l'Autore presenta il Volto di Cristo, quasi irriconoscibile alla sua stessa Madre, che più volte già aveva accarezzato quella fronte ora coperta di sangue sudore e spine. Il messaggio spirituale. Non è soltanto quello strettamente emotivo: il Figlio condannato e la Madre del Condannato, la sofferenza fisica di Cristo e la sofferenza morale di Maria, la gloria del Figlio di Dio offuscata dalla Passione e la gloria della Madre di Dio oppressa dal dolore. E' piuttosto I' immagine della Madonna Corredentrice che è presentata quasi nella stessa posizione di Cristo, affranta e accasciata, sulla Via della Croce. Non è un incontro in cui Maria possa consolare suo Figlio o alleviare i suoi dolori, piuttosto sembra che il dolore del Figlio si scarichi sulla Madre (si veda la diagonale della figura di Cristo o quella di Maria). Solo il contrasto tra la veste rossa e il volto arrossato del Figlio rispetto alla veste azzurra e al velo bianco di Maria contrappongono simbolicamente il segno del dolore penitente di Cristo che si è addossato i peccati del mondo al segno del dolore innocente di Maria, l'Immacolata, che conosce solo il dolore e non il peccato. Giustamente qui l'Addolorata non è vestita in nero, come nella consueta tradizione pittorica, ma copre il suo dolore col manto e il velo dell'innocenza. Particolarità. Il bambinetto di spalle in primo piano vestito di bianco, sottolinea una curiosa particolarità: la presenza dei bambini nella Via Crucis, il simbolo della innocenza stupita e atterrita di fronte al mistero del male, il ricordo di un trionfo (l'ingresso di Gesù in Gerusalemme accolto dai piccoli osannanti e recanti un ramoscello d'ulivo) trasformatosi in tragedia (l'uscita da Gerusalemme di Gesù condannato alla morte di croce). Il piccolo si avvicina a Gesù. "Lasciate che i piccoli vengano a me". L'elemento "Apostolico". In questo quadro, vicinissimo a Gesù è raffigurato Giacomo il Minore c (da non confondere con Giacomo il Maggiore figlio di Cleofa e Zebedeo e fratello dell'Apostolo S. Giovanni) con suo padre Alfeo. E' stato messo in questo quadro perché Giacomo il Minore, detto "il Giusto", sarà Vescovo di Gerusalemme sino al martirio e alla morte. La mamma di questo Apostolo Giacomo era una sorella della Madonna perciò Giacomo nel Vangelo è detto "fratello" di Gesù nel senso che era cugino (NB. Ai tempi evangelici tutti i parenti stretti erano detti "fratelli"). L'apostolo Giacomo il Minore non pronuncia nessuna parola nel testo evangelico ma è autore di una intera lettera del Nuovo Testamento, la prima delle 7 epistole cattoliche, in cui sono espresse le sue idee principali e le sue raccomandazioni. E' famoso per aver conciliato gli opposti pareri di S. Pietro e S. Paolo al Concilio di Gerusalemme (Act 15, 13-19) e per la accoglienza a S. Paolo al ritorno dal terzo viaggio apostolico (Act 21, 18). Nell'anno 62 fu perseguitato mentre era ancora Vescovo di Gerusalemme, precipitato dal tempio e morì con le gambe spezzate. 


QUINTA STAZIONE (di E. Krumm, 1986)

 

Titolo: GESÙ AIUTATO DA SIMONE

 

Composizione. Dopo la prima caduta (in città, III Stazione) e I' incontro con Maria (appena fuori Gerusalemme, - IV Stazione) Gesù si ferma ancora una volta. E' ormai passato da tempo il mezzogiorno e Gesù è stanchissimo dopo quella notte di preghiera nell' orto degli ulivi, di sofferenza in tribunale, di persecuzione nel pretorio. H quadro è intitolato all'episodio descritto dal Vangelo: «I soldati condussero fuori Gesù per crocifiggerlo. Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce» (Mc 20,21). Il pittore mette al centro la figura di Cristo e lì vicino, sulla destra, la figura del Cireneo che regge il pesante patibolo scaricato dalle spalle del Salvatore. Dietro il Cireneo la figura di un sinedrita e di un soldato: sono i simboli dei due poteri civili e militari che conducono Gesù alla morte e tollerano questa sosta, anzi costringono il Cireneo ad aiutarlo, perché Gesù riesca ad arrivare alla crocefissione. Questo basterebbe a narrare l'episodio evangelico già citato, ma volendo introdurre in ogni quadro la presentazione di un Apostolo, si è scelto qui di presentare Giuda impiccato. Infatti, dopo la cattura e la condanna, Giuda va ad uccidersi fuori le mura di Gerusalemme e qui si immagina che Gesù scorga il suo cadavere sulla Via della Croce. Questo rende più drammatica la composizione del quadro che termina in alto con il ramo ricurvo da cui pende l'impiccato e le nubi addensate che circondano a tinte fosche i riflessi del cielo lampeggiante. L'elemento "sindonico". Si utilizza in questo quadro il fatto che il patibolo è stato tolto momentaneamente, per mostrare un grosso strappo della veste di Cristo sulla spalla. Si vogliono così ricordare le piaghe sulle spalle che risultano da grosse macchie sulla Sindone: quella a sinistra è leggermente più bassa della destra, probabilmente perché il legno del patibolo legato sulle spalle, passava dietro il collo ed era sceso per il peso verso la schiena sfregando e piagando le spalle verso la zona delle scapole. Anche nella storia della ascetica cristiana si legge di alcuni santi e di mistici che ricordavano e meditavano non solo le piaghe dei chiodi(le stimmate di Cristo) ma anche le piaghe delle spalle prodotte dal peso del patibolo. Il messaggio spirituale. Risulta soprattutto nel contrasto o contrapposizione tra Simone di Cirene, che si fa amico di Gesù prendendogli la croce dalle spalle, e Giuda Iscariote, l'Apostolo traditore. Simone, sia pure costretto dai soldati, inizia da quel momento a diventare un seguace di Gesù e diventa discepolo con i suoi figli Alessandro e Rufo (sono quindi cristiani quando S. Marco scrive il suo Vangelo). Mentre Giuda, l'Apostolo mancato, il discepolo traditore, mostra con la sua tragica fine suicida 'l'atto di disperazione di chi non accetta la croce di Cristo. Forse per la prima volta accade che nella Via Crucis sia inserito Giuda Iscariote. Non è solo perché, sapendo di Giuda impiccato fuori le mura di Gerusalemme, ora si vuol mostrare che Gesù può averlo incontrato appena uscito dalle porte della città. Non è solo per questa circostanza di luogo e di tempo che il traditore è lì stroncato dalla corda che gli ha tolto la vita. Nel passare davanti a questo quadro ogni fedele fisserà nel cuore un messaggio spirituale: «Che sarà di me? se non accetto la Croce?; la Croce di Cristo cioè la sua passione e morte, e la croce mia cioè quella che Gesù affida alle mie spalle nella mia vita. Sarà disperazione e morte nel mio spirito! Se credo di poter uccidere Dio con la forza del mio peccato allora sono disperato perché non credo alla forza dell'Amore di Dio e alla potenza di Cristo risorto, cioè sono disperato se il male vince sul bene (come ha pensato Giuda). Oppure non accetto la mia croce (come ha fatto Giuda) cioè non accetto umilmente i miei limiti, le mie debolezze, anche la vergogna di essere peccatore, non accetto insomma il fallimento del mio orgoglio...non posso .. non voglio... piuttosto mi ammazzo!...o vivo qui sulla terra lontano da Dio sino a quando verrà la morte eterna!». Ma non possiamo allontanarci da questo quadro turbati solo dall'immagine di Giuda: al centro c'è Cristo che guarda l'Impiccato ancora una volta, lo guarda con dolore e amore. Quante volte lo aveva richiamato, gli aveva lavato i piedi, gli aveva offerto il perdono anche al momento del tradimento dicendogli con soavità: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo? » (Lc 22,48). Questo atteggiamento di Gesù è troppo marcato al centro del quadro. Non mi posso 'allontanare da questa stazione senza il conforto della speranza nel Dio che salva. Particolarità. Non ci sono particolarità figurative in primo piano o sullo sfondo che distraggono dalla scena centrale. Anche le due figure simboliche del sinedrìta e del soldato appaiono quasi complementari. Forse l'uno e l'altro, che sono colpevoli come Giuda, cercano di nascondersi. Forse il sinedrìta ha trattato con Giuda il prezzo del tradimento, e il soldato ha catturato Gesù quando Giuda l'ha baciato, ed ora si tirano indietro stupiti e atterriti al vedere la terribile fine del traditore. L'elemento. "Apostolico". Ricordiamo che Giuda detto "Iscariota" dalla sua cittadina natale nella Giudea meridionale ,doveva avere buone qualità che lo resero degno di essere eletto all'apostolato (Le 6,16) ed anche capacità pratiche se fu costituito amministratore del gruppo dei "dodici" (Gv 12,6; 13,29). Non si deve quindi ritenere che sin dal principio avesse cattive intenzioni o fosse un intruso tra gli apostoli; il Vangelo però ci fa capire che il suo amore per Gesù era troppo umano e forse troppo interessato. Andò poi aumentando la sua avarizia che ne fece un ladro (Gv 12,6) e tradì il Maestro per trenta monete d'argento (Mt 26,14 e testi paralleli). Condusse coloro che andarono a catturare il Redentore (Gv18,3; Atti 1,16), tradì il Maestro con un bacio (Mt 26,49) e dopo la condanna di Lui si impiccò (Mt 27,3-5; Atti 1,18). Pur essendo difficile capire pienamente i motivi del tradimento e del suicidio, sarebbe troppo superficiale dire «era orgoglioso e ladro». Un motivo più profondo appare dalla sua graduale crisi di fede. La crisi cominciò forse nella sinagoga di Cafarnao quando alcuni discepoli si ritirarono non volendo accettare il discorso sull'Eucarestia (Gv 6,66) e Gesù disse «Non vi ho scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. (Gv 6,70). Questa crisi andò aumentando alle ripetute predizioni della passione di Gesù (Mt 16,21-23; 17,22ss.; 20, 18ss.) e scoppiò, dopo la gloriosa entrata in Gerusalemme, quando accennò alla propria Crocefissione (Gv 12,32). Certo è che Gesù, nella preghiera per i discepoli all'Ultima cena, lo considera dannato dicendo: «Li ho custoditi e nessuno di loro si è perduto, eccetto il figlio della perdizione, affinché si adempisse la Scrittura» (Gv 17,12). La mancanza di Fede tolse a Giuda la capacità di sperare in Cristo quando il Redentore lo rimproverava come alla cena di Betania (Gv 12,7) o mostrava di conoscere 'la situazione di peccato, le intenzioni cattive, e il tradimento che era nel suo cuore. La disperazione di Giuda si inabissò nell'odio verso se stesso, e forse nell'odio verso Dio; e allora «...gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi» (Mt 27,S). Il quadro mostra Gesù che passa presso il "campo del sangue" (il luogo dove Giuda si era impiccato) e guarda dolorosamente il suo ex apostolo appeso a quel ramo. Sarebbe stato troppo orribile raffigurare quanto dicono gli Atti degli Apostoli (At 1,18) che la corda si ruppe o il ramo si spezzò e Giuda «precipitando si spaccò in mezzo e si sparsero tutte le sue viscere»: tuttavia quella pietra raffigurata sotto i suoi piedi... è l' ultimo luogo che egli calpesta e su quella finirà il suo cadavere. 


SESTA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: L'INCONTRO CON LA VERONICA

 

Composizione: Mentre Gesù procede faticosamente verso il Calvario ecco una breve sosta. Una donna semplice e coraggiosa, umile figlia del popolo, mossa a compassione, si stacca dalla folla e si avvicina. Gesù ha il volto sfigurato e insanguinato dal sudore e dal sangue; le sue braccia sono legate al patibolo e non può arrivare con le mani ad asciugarsi il volto e a togliere quei rivoli di sangue che calano sulle gote e sugli occhi. Allora la donna forse per rivedere il volto di Cristo già contemplato e ammirato prima della passione, non indugia; afferra il suo copricapo e lo appoggia al volto dì Gesù e con una leggera e delicata pressione lo asciuga dalla fronte al mento, da sotto la corona di spine a dove inizia la barba. Ed ecco che miracolosamente il volto del Signore rimane impresso in quel telo con una immagine a perfetta somiglianza. Questo episodio purtroppo non è confermato dal racconto evangelico. Si tratta, però, di una antica tradizione che nelle stazioni della Via Crucis non manca mai. Anche il nome di quella donna è ignoto; «Veronica » infatti vuol dire «vera immagine» che è quindi un nome convenzionale per ricordare l'accaduto. Nella composizione del quadro il Pittore pone la donna accanto a Gesù, mentre, dopo aver asciugato il volto al Salvatore, ne leva il panno a mostrare l'immagine che vi è impressa. L'immagine non reca solo i segni del sangue del sudore e della polvere ma appare delinearsi con completezza quasi per trasparenza attraverso un raggio di luce. Le figure ai lati di Cristo rappresentano l'apostolo Filippo, a destra, quasi rapito nella contemplazione del volto del Signore sofferente e, a sinistra, la Maddalena che con le mani si copre il volto. In primo piano, visti di spalle, un soldato e una donna ammirano il prodigio. L' elemento sindonico. Se l'immagine impressa nella Sindone è veramente quella di Gesù sembrerebbe che in questa stazione il velo della Veronica dovrebbe riportare impressa la stessa immagine di quel volto che risulta dalla Sindone di Torino: in realtà non è proprio così e vediamone il motivo. Pur risultando sempre identico nei tratti essenziali, dobbiamo pensare che nella Sindone è impresso il volto di Cristo gravemente sfigurato dalla passione e morte, dalla tumefazione dei colpi subiti (gonfiore della zona sopraciliare sinistra, rottura del setto nasale, ecc.) ma nel velo della Veronica il volto di Cristo non doveva apparire così sfigurato come al termine della Via Dolorosa. Purtroppo non esiste una sicura reliquia del panno della Veronica e al Pittore, quindi non restava che delineare i contorni del volto, come appaiono dalla Sindone, eliminando i segni delle alterazioni che in questa Via Crucis sono raffigurati nelle successive Stazioni. Rimaneva poi il problema di non mettere a caso le tracce di sudore e di sangue: in parte sul volto di Cristo ed altre sul velo della donna (cioè quelle asciugate dal volto di Cristo). Così facendo ci si sarebbe allontanati in pieno dalla lettura della Sindone. Per questo motivo si è tenuto conto non solo degli studi sul volto sindonico ma anche dei recenti esami su un'altra importante reliquia: il sudario di Oviedo (G. Ricci: «L'uomo della Sindone è Gesù», Ed. Cammino, Milano 1985). Questo sudario , conservato in Spagna, sarebbe quello di cui parla il Vangelo «che fu sopra il capo di lui» (Gv 20, 7) probabilmente sul volto di Gesù dopo la deposizione fino a quando Gesù fu avvolto nella sindone. Si tratta di un pezzo dl tela che reca certe impronte di chiazze di sangue della stessa misura e nella stessa posizione di quelle dell'uomo della Sindone. Ma si pensa (nel libro appena citato) che il sudario sia stato poco a contatto col volto del Signore e sia servito solo ad asciugare le zone umide del volto dopo la sua morte. A nostro parere quindi il velo della Veronica deve riportare le parti insanguinate che meno risultano nel sudario e nella sindone, perciò si è fatto quasi una immagine al negativo rispetto alle reliquie esistenti. Si è pensato così di avvicinarsi il più possibile alla realtà di quella immagine che il Signore ha voluto regalare a quella donna come premio del gesto di amore e di conforto. L'elemento Apostolico. Anche in questo quadro viene messo tra i presenti un Apostolo. Si tratta di Filippo, di Betsaida, dello stesso paese di Pietro e Andrea. Probabilmente ex pescatore o commerciante di pesce. Con Andrea era stato seguace del Battista e dopo aver conosciuto Gesù sul Giordano lo aveva seguito. Condusse a Gesù anche l'amico Natanaele (S. Bartolomeo) dicendogli «Abbiamo trovato colui di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti: è Gesù di Nazareth» (Gv 1, 43-45). Il suo entusiasmo per Gesù non era però accompagnato da una grande fede perché era un tipo pratico, calcolatore, preciso e positivo. Gesù stesso lo mise alla prova prima del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci chiedendogli dove si potesse trovare il pane per tutti e Filippo rispose che «non basterebbero 200 denari per dare a ciascuno una piccola porzione» (Gv 6, 5-7). Aveva però una grande apertura e capacità di dialogo con gli estranei se a lui si rivolsero i proseliti greci per essere presentati al Maestro (Gv 12,21-22). In questa VI Stazione della Via Crucis è raffigurato sulla destra mentre guarda il volto di Gesù e l'immagine sul tela della Veronica, come se il Pittore volesse ricordare la richiesta di Filippo durante l'Ultima Cena: «Signore, mostraci il Padre e ci basta», e la risposta di Gesù «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Gv 14, 8-10). Secondo la tradizione, dopo la Resurrezione di Gesù, Filippo fu evangelizzatore della Frigia. A lui furono attribuiti degli scritti (Atti e Vangelo) non autentici che si diffusero in lingua sinaca, armena, copta e araba ed anche in Egitto. E' significativo che in queste regioni l'arte sacra della Chiesa primitiva abbia prodotto tante icone col volto di Gesù, ancor oggi diffuse riprodotte e venerate nella chiesa copta e in tutto il cristianesimo di rito ortodosso. Sarebbe stato martirizzato a Gerapoli (Asia M.), crocifisso capovolto . Il Messaggio Spirituale. Innanzitutto il messaggio di questa stazione si riferisce al Volto di Cristo e così può essere intitolata «Alla ricerca del volto di Gesù» come nella Via Crucis di Inos Biffi (Ed. Jaca Book, 1977) che invita a riflettere sulla profezia di Isaia «Il servo di Dio non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Molti si stupiscono di lui, tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo» (Is 53, 2; 52, 14). Messaggio spirituale è anche il gesto della Maddalena che si copre il volto. Può darsi che nasconda il suo stupore e il suo dolore per quella immagine del volto sofferente di Cristo, ma può essere interpretato come un gesto di rimorso: lei, la peccatrice, vuole ora nascondere il suo volto che ha visto e causato tanti peccati, nasconde il suo volto deturpato dal peccato o meglio il volto che è specchio dell'anima per il rimorso di aver deturpato la sua anima, creata a immagine di Dio. Particolarità. Oltre a quanto già detto a proposito del velo della Veronica (raffigurante in negativo la reliquia del sudario di Oviedo e il volto di Cristo della Sindone) non ci sono altri particolari notevoli. Si può notare forse quel raggio di luce - dal cielo a Cristo e al Velo della Veronica - come particolare che significhi l'immagine di Dio, riprodotta e visibile nel suo Figlio, e impressa nelle creature che lo amano. Forse la stessa disposizione delle figure, tutte volte sia al volto di Cristo che al Velo della Veronica al centro del quadro, ci richiamano a questo mistero. 


SETTIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: LA SECONDA CADUTA

 

Composizione.  Già abbiamo affermato che la narrazione evangelica non parla di cadute di Gesù, lungo la via dolorosa; tuttavia in questa « Via Crucis» ci si fonda su una attenta lettura della Sindone da cui si giustifica la tradizione cristiana di numerose cadute del Signore sulla via del Calvario. Il pittore rappresenta la scena mediante alcuni elementi essenziali: Cristo chinato sin quasi a terra e il patibolo di traverso dalle spalle alla schiena, il volto del Signore colpito tragicamente e violentemente da una sporgenza rocciosa del terreno, un apostolo inginocchiato presso il corpo sfinito del Salvatore in atteggiamento di dolorosa compassione, un soldato a cavallo che occupa la parte superiore del quadro, i due carnefici a lato in atteggiamento di stupore. L'elemento sindonico. Mentre nella prima caduta si era raffigurata particolarmente la contusione del ginocchio sinistro dell'Uomo della Sindone, nella seconda e terza caduta vengono presentate le varie contusioni del volto del Signore. Esse sono: a) enfiagìone dell'arco sopraciliare sinistro, b) segni di ecchimosi allo zigomo sinistro, c) eccezionale gonfiore del centro della fronte, e d) rottura del setto nasale. In questo quadro l'Autore mostra il Signore che batte violentemente il capo contro una sporgenza rocciosa del terreno in modo da subire le contusioni sopra indicate alla lettera c) e d): cioè si vede Gesù che batte violentemente la fronte con la roccia e si ferisce, sino a spaccarlo, il setto nasale. Quel volto del Signore, contemplato nella stazione precedente impresso nel velo della Veronica, ora diventa completamente sfigurato. Ci si potrebbe chiedere: perché Gesù non riesce a mantenersi in piedi o non riesce ad evitare l'impatto col terreno? Tra le molte spiegazioni, riferite dagli studiosi, eccone alcune: « Avendo Gesù le mani legate al patibolo e non potendo metterle avanti quando cadeva, egli doveva battere violentemente il volto sul terreno, non solo per il peso del suo corpo, quanto per il peso di cinquanta chili del patibulum che aveva sulle spalle» (Toscano G. « La Sindone e la scienza medica» Mimep - Docete, 1978). Secondo altri studiosi la corda legata al patibolo e alle braccia di Gesù, era assicurata alla caviglia sinistra e da qui continuava sino al patibolo degli altri due condannati (Ricci M. «La Via Crucis secondo la Sindone» Centro Romano di Sindonologia, 1978). Andando al Calvario i ladroni dovevano agitarsi, trascinarsi a vicenda e spingersi l'un l'altro; chi ne andava di mezzo era il terzo condannato (Gesù) che avendo le braccia legate alla trave non poteva evitare l'impatto del volto contro il terreno, mentre l'unico sostegno, che poteva solo ritardargli la commozione cerebrale, era la fune che legava il suo patibolo a quello del vicino cruciaro. L'elemento apostolico. Accanto a Gesù, il Pittore colloca come testimone compassionevole l'Apostolo S. Simone. E' considerato l'Apostolo più meditativo e silenzioso forse perché nel Vangelo compare solo nell'elenco degli Apostoli (all'ultimo posto, insieme a Giuda Taddeo) ma di lui ben poco ci viene riferito: nessuna frase, nessun intervento o episodio, nessuna particolare notizia della sua vita. E' chiamato anche Simone «il cananeo » non perché fosse originario di Cana di Galilea come l'Apostolo Bartolomeo (cfr. 3.a Stazione), ma perché in aramaico la parola « qananà » significa « zelota » o « zelante ». Forse Simone aveva fatto parte del partito degli zeloti (come Giuda Taddeo che vedremo nella prossima Stazione) oppure era noto per lo zelo della legge e le tradizioni giudaiche. Secondo antichi autori Simone era « fratello » (cioè cugino e parente) di Gesù come Giuda Taddeo e Giacomo d'Alfeo il Minore (cfr. 4.a Stazione) e sarebbe stato successore di Giacomo come Vescovo di Gerusalemme sino ad età molto avanzata quando subì il martirio della crocifissione o, come riferisce un'altra tradizione, fu martirizzato con la sega che gli divise il corpo a metà all'altezza della cintola. Nella liturgia latina si festeggia questo Apostolo, il 28 ottobre, insieme a Giuda Taddeo. Il messaggio spirituale. La sofferenza dell'Uomo dei dolori difficilmente può essere espressa dal dipinto perché il volto del Signore è nascosto dall'asperità del terreno contro cui ha battuto. L' enfiagione del centro della fronte e l'incavo traumatico tra l'estremità del naso e l' inizio delle cartilagini può essere solo immaginato, oppure è meglio ripensare al Volto impresso sulla Sindone e meditare in questa Stazione a quanto il Signore Gesù ha sofferto in questa caduta. Ritornerà alla mente la profezia di Isaia già meditata nella Stazione precedente: « …tanto era sfigurato il suo aspetto per essere quello di un uomo, e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo» (Is 52, 14). La stessa posizione di Cristo, prono a terra, umiliato e affranto sino a toccare il suolo con la sua fronte, ci reca un profondo messaggio spirituale o un richiamo di rimprovero per il nostro orgoglio che troppo facilmente alza il capo con alterigia. Non è solo il carico della croce che schiaccia a terra Gesù ma è il peso della volontà del Padre che lo conduce alla morte. Particolarità. Si noti come il cavallo e il cavaliere sottolineino il contrasto con l'immagine di Cristo a terra: l'orgoglio in contrapposizione all'umiliazione, la forza violenta e sfrenata di fronte all'estrema debolezza e rassegnazione di Cristo, i persecutori e la vittima, il carnefice e il condannato ... forse anche l'impeto del cavallo in corsa sembra frenato o trattenuto all'improvviso dalla caduta del Signore, quasi a suggerire che l'animale, più sensibile del cavaliere, si trattenga sugli zoccoli anteriori per non calpestare il Figlio di Dio.


OTTAVA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: PARLA ALLE DONNE

 

Elemento apostolico. GIUDA TADDEO. Collocato di fianco alla Croce nel quadro dove Gesù parla alle donne sulla Via del Calvario. E' detto anche «Lebbeo» o semplicemente Taddeo. Per il suo carattere affabile, sensibile, e tanto amorevole col Signore è collocato qui sul lato delle pie donne compassionevoli che piangono le sofferenze del Signore. G. TADDEO. E' anch'egli un «fratello» (nel senso di parente o cugino) di Gesù. Noto per lo zelo della legge e delle tradizioni giudaiche, lasciò forse gli zeloti per seguire Gesù con l'altro parente Simone (visto nella stazione precedente) e con Simone è nominato sempre negli ultimi posti dell'elenco apostolico (Mt l0, 2-4; Mc 3, 13-19;Le 14-16). Considerato silenzioso, riflessivo e incline alla più amorevole contemplazione, interviene nel Vangelo solo con una domanda all'Ultima Cena quando parla della rivelazione d'amore «Chi mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e staremo presso di lui»(Gv 14, 22-24). S. GIUDA TADDEO. Fu apostolo, dopo la resurrezione, in Giudea, nella Galilea e nella Samaria. Poi in Siria e nella Mesopotamia. Può esser considerato l'autore della «Lettera di Giuda » del N.T. in cui si ferma sulla Fede, da conservarsi .Come la si è ricevuta dagli Apostoli, da viversi nello Spirito Santo ed esercitarsi nella carità. Secondo la Chiesa di Siria morì martire ad Arad, presso Beirut. Festa il 28 Ottobre, insieme a S. Simone Apostolo. 


NONA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: CADE LA TERZA VOLTA

 

Elemento apostolico. ANDREA.

E' raffigurato in atteggiamento di profonda costernazione e di doloroso stupore; alza le braccia al cielo al vedere Gesù caduto a terra senza più forze. La sua figura appare in evidenza sul lato sinistro della scena in contrasto con l'atteggiamento irritato e persecutorio di uno dei carnefici. ANDREA. Di Betsaida, pescatore e figlio di Giona, fratello di S. Pietro. Era già un seguace di Giovanni il Battista ed è il primo a cercare Gesù per mettersi alla sua sequela, con S. Giovanni apostolo, precisamente il giorno successivo al Battesimo del Signore, ed è stato lui a presentare a Gesù il fratello Simone detto poi Pietro (Gv 1,35-42). La-definitiva chiamata all'apostolo avverrà più tardi in Galilea (Mt 4, 18- 22;Mc 1,16-20) dopo la pesca miracolosa (Le S, 1-11) quando Gesù invita all'apostolato i due figli dì Giona: Andrea e Pietro, e i due figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni, tutti pescatori e tutti di Betsaida. Erano tutti soci nel lavoro della pesca ma si ritiene che i due fratelli Andrea e Pietro fossero di famiglia molto più povera e umile di quelli dell'altra famiglia cioè dei figli di Zebedeo (vedi stazioni 11 e 12). Nei cataloghi degli Apostoli è nominato sempre nella prima quaterna; al 2° posto da Mt e Le, al quarto da Mc e Atti. Era di temperamento ponderato e tranquillo. Conosce bene la potenza del Signore ma timidamente osserva «C'è un bambino con 5 pani e 2 pesci; ma a che bastano?» (Gv 6, 9) e allora Gesù compie il miracolo di moltiplicare pani e pesci «vedi anche Mt 14, 13-21;Mc <6,32-44; Le 9, 10-17). Del Testo Andrea appare sempre riservato: non partecipa o non risulta testimone della Trasfigurazione di Gesù mentre i suoi compaesani Pietro, Giacomo e Giovanni vi hanno partecipato: è sempre nell'ombra e silenzioso sia al cenacolo che alla resurrezione di Gesù. Insieme a Filippo, del quale era molto amico, presenta a Gesù alcuni pagani (Gv 112,22). S. ANDREA. Secondo le più antiche tradizioni (II e III secolo) ebbe un campo di apostolato molto vasto dalla Grecia alla Cappadocia, Bitinia, Scizia, Ponto Eusino, etc. cioè tutte le regioni dalla Grecia all'Armenia a sud del Mar Nero. Fu crocifisso a Patrasso su una croce decussata (cioè a X, detta da allora Croce di S. Andrea). Festa il 30 novembre. Le sue reliquie furono trasferite a Costantinopoli nel 356 e nel sec. XIII ad Amalfi; la testa nella basilica di S. Pietro in Vaticano nel 1462. 


DECIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: SPOGLIATO DELLE VESTI

 

Elemento apostolico. MATTEO.

Un nome aramaico (Mattai) che significa «dono di Jahveh ».

Raffigurato in questa stazione sul fondo a sinistra, un po' isolato da tutto il gruppo di

spettatori che potrebbero essere del ceto di Matteo, suoi conoscenti o colleghi. Matteo

infatti era pubblicano (cioè esattore delle tasse) e conosceva quindi l'ambiente degli

impiegati statali, forse il pittore nel quadro voleva riferirsi a questi e rappresentarli

come spettatori della umiliazione di Gesù spogliato e abbeverato di fiele.

MATTEO. Si sa dai Sinottici che la sua vocazione avvenne a Cafarnao, dopo la

guarigione del paralitico, «Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte,

chiamato Matteo, e gli disse - Seguimi -. Ed egli si alzò e Io seguì» «Mt 9, 9; Mc 2,

13-14; 'Lc S, 27-28). La sua prontezza nell'abbandonare tutto per rispondere alla

chiamata mostra la sua generosità, il banchetto in onore del Maestro subito dopo la chiamata mostra la sua riconoscenza.

Generoso e riconoscente, sensibile e attento osservatore (è autore del primo Vangelo), doveva essere anche abbastanza ricco e disponibile (ospita per molto tempo Gesù e gli Apostoli nella sua casa a Cafarnao).

Pur essendo di ceto borghese e abbastanza colto ci appare molto umile: non

risulta di Lui nulla di <speciale in tutti gli scritti del N.T. ed egli stesso si definisce

«pubblicano» tra i peccatori (Mt 9,10·13). Marco e Luca ci ricordano il suo nome proprio e quello di famiglia: Levi di Alfeo (Alfeo si distingue dall'omonimo padre di Giacomo il Minore della 4a stazione).

S. MATTEO. Apostolo ed Evangelista, predicò dapprima <agli Ebrei di Palestina e

poi in molte regioni, come il Ponto, la Persia, la Siria, la Macedonia e persino in

Etiopia; perciò è molto ricordato nella Chiesa bizantina e in quella copta. Morì forse

martire, ucciso da una lancia, ma non si è certi. E' festeggiato il 21 settembre. 


UNDICESIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: INCHIODATO ALLA CROCE

 

Elemento apostolico. GIACOMO il MAGGIORE.

Di Betsaida, figlio di Zebedeo e di Salame (Mc 15, l0), fratello di Giovanni apostolo. E' raffigurato in fondo a sinistra, nel quadro come testimone della Crocefissione, vestito di bianco come il fratello (stazione 12a). GIACOMO il MAGGIORE. Chiamato da Gesù col fratello era intento a riassettare le reti presso il lago di Genezareth, lasciò il padre, la barca e i garzoni (Mt S, 21 sg.; Mc l, 19 sg.; Lc 5, 10 sg.). Nell' elenco degli Apostoli di Marco occupa il 2° posto, in quello di Matteo, Luca e Atti, il terzo posto dopo Pietro e Andrea; certamente è tra i privilegiati: assiste alla resurrezione della figlia di Giairo (Mc '5, 36), alla Trasfigurazione (Le 9,28), e all'agonia di Gesù nel Gethsemani (Mt 26, 37) .dove si addormenta come Pietro e Giovanni. Per il loro carattere impetuoso i due fratelli Giacomo e Giovanni ebbero da Gesù il soprannome di «figli del tuono» (Mc 3, ,17), e forse per ambizione e presunzione ebbero il coraggio di chiedere i primi posti, a destra e a sinistra di Gesù, nella gloria, e si affermarono degni di bere il calice e ricevere il battesimo di Gesù (Mc 35, 40), ma erano forse suggestiona ti e incalzati dalle ambizioni della loro madre (Mt 20, 20- 23). S. GIACOMO il MAGGIORE. Secondo antiche tradizioni sarebbe stato evangelizzatore della Spagna ed ora è il patrono della Spagna. Il suo sepolcro a Santiago di Campostella è meta di pellegrinaggi celebri. Ma essendo molto venerato nella Chiesa greca, copta e armena, si pensa che abbia molto viaggiato da queste regioni alla Spagna e viceversa (La «Via lattea» viene ancora chiamata il cammino di S. Giacomo). Fu decapitato per ordine di Erode Agrippa I verso il 42 (Atti 12,2). La sua festa è il 25 luglio. 


DODICESIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: LA MORTE DI GESÙ

 

Elemento apostolico. GIOVANNI.

Considerato l'autore del 4° Vangelo, di tre lettere del N.T. e dell'Apocalisse. E' raffigurato ai piedi della Croce, insieme a Maria che Gesù gli ha affidato prima di morire (Gv 19, 26 sg.).

GIOVANNI. Figlio, con S. Giacomo, di Zebedeo e di Salome (Mc 15,40; Mt 20,20 e 27,56); di famiglia agiata di pescatori che lavoravano con mercenari dipendenti (Mc 1, 20). Salome era una delle matrone che «seguivano Gesù recandogli aiuto» (Mt 27, 55) «con le loro risorse» (Le 8, 2 sg.). Dalla sua vocazione, degli episodi vissuti nel Vangelo con il fratello S. Giacomo, della sua ambizione e del temperamento focoso, del soprannome «figlio del tuono», etc. già abbiamo parlato nella precedente Stazione (11a). Va detto anche che non sol fu uno dei tre apostoli più intimi del Maestro, ma fu colui «che Gesù amava» e si chinava durante l'Ultima Cena sul petto di Gesù per interrogarlo in segreto (Gv 13, 23-25). Si suppone che introduca se stesso nel racconto evangelico senza specificare il nome come compagno di Andrea quando abbandona il Battista per seguire Gesù (Gv 1, 35) e come «discepolo noto al Pontefice» che accompagna Pietro nel cortile del Sommo Sacerdote Caifa (Gv 18, 15-16) ma non è sicuro. Dopo la Resurrezione di Gesù è primo con Pietro a correre al sepolcro e a costatare che la tomba è vuota (Gv 20,3-8). S. GIOVANNI. Apostolo e Evangelista. Secondo Atti e Gal. 2, 9 è posto tra «le colonne della Chiesa» per la sua grande autorità nella Chiesa nascente. Fu il più giovane degli Apostoli. Degli scritti: il 4° Vangelo, le 3 «Epistole» e l'Apocalisse sarebbe lungo il parlarne. Dimorò ad Efeso, secondo gli scritti di Ireneo ed Eusebio, dall'inizio della guerra giudaica (67 d.C.), soffrì l'esilio nell'isola di Patmos (Apoc 1,19), pare che abbia scritto il 4° Vangelo dopo il 90° anno di sua vita, famoso per miracoli, esortazioni sulla carità e circondato da grande venerazione, sotto Traiano in estrema vecchiezza morì di morte naturale. La sua festa è il 27 dicembre.


TREDICESIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: DEPOSTO DALLA CROCE

 

Elemento apostolico. TOMMASO, detto anche «Didimo» che significa «gemello».

E' raffigurato nel quadro della deposizione dalla Croce mentre afferra i piedi di Gesù e penetra col dito nelle piaghe dei piedi. Il pittore immagina questa scena per far riferimento alla frase di Gesù risorto che invita l'Apostolo a superare la incredulità dicendo «metti qua il tuo dito ...» per costatare che si tratta dello stesso Crocifisso, cioè dello stesso corpo morto sulla Croce ed ora risorto (Gv 20,26-29). TOMMASO. Nel catalogo degli Apostoli nei Sinottici o di Atti si trova solo il nome. Nel 4° Vangelo si trova che è uno dei cinque che parteciparono alla 2a pesca miracolosa (Gv 21,2), onde risulta che anche Tommaso era pescatore. Secondo i moderni commentatori del carattere degli Apostoli è messo in evidenza che doveva trattarsi di un isolato, freddo, di mentalità positiva, poco entusiasta, etc. Un episodio mostra Il suo coraggio: «Andiamo anche noi e moriamo con lui» disse Tommaso quando si trattava di andare a Betania, dove Gesù era cercato per essere messo a morte (Gvll, 16); un altro ne mostra il carattere ragionatore: «Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?» (Gv 15, 14); notissimo è il suo diffidente scetticismo di fronte alle affermazioni degli altri apostoli che assicuravano di aver visto Gesù Risorto (Gv 20, 24-25). Ce lo rende più simpatico il suo estremo e accorato atto di fede «Signore mio e Dio mio» (Gv 120,28). S. TOMMASO. Notizie incerte si hanno sul suo campo di apostolato. Sì è concordi nell'affermare che fu l'Apostolo delle regioni più lontane: dalla Siria orientale, alla Persia e sino all'India. E' venerato dalla Chiesa melkita e i cristiani di rito malabarico (in India) si vantano di essere stati evangelizzati da S. Tommaso. Morì martire a Calamina in India e le sue reliquie furono portate a Edessa. Noi lo festeggiamo ii 3 luglio. 


QUATTORDICESIMA STAZIONE (di E. Krumm, 1987)

 

Titolo: SEPOLTO PER RISORGERE

 

Elemento apostolico. Non sono stati raffigurati gli Apostoli, a somiglianza della 1a Stazione ma possiamo immaginarceli devotamente al seguito di quanto è nel quadro cioè solo Maria Santissima e due discepoli che reggono il corpo di Gesù. Per la sepoltura e il lenzuolo bianco, la Sindone, si sarebbe dovuto raffigurare Giuseppe d'Arimatea ma è già stato messo nei quadro precedente col suo lenzuolo sulle spalle. E chi sono i due discepoli? Nella mente del Pittore sono i due discepoli di Emmaus, fatti presenti qui nella tristezza della scena di sepoltura, per richiamarci a quanto sarà loro donato dopo pochi giorni: il rivedere Gesù Risorto e il riconoscerlo nella Eucarestia!


Targa offerenti via Crucis